Sabato 14 settembre– Civita


Alle 8.30 siamo ripartiamo da Morano Calabro per raggiungere il Borgo di Civita, abbiamo fatto una colazione rapida con cappuccino e cornetto e siamo salti a bordo. Il tragitto è breve e stamattina non vi è tempo per la lezione d’Italiano, che Alessandra recupererà nella giornata. Fiorenzo imbocca l’autostrada del Mediterraneo ed in pochi minuti siamo arrivati a destinazione. Si tratta di un paesino di origini Arbëresh, fondato tra il1467 ed il 1471, in seguito della fuga degli Albanesi a causa dell’invasione turca. Anche questo centroè stato inserito tra i Borghi più belli d’Italia ed insignito della Bandiera Arancione del Touring Club, in quanto custode dell’identità di un popolo, della loro lingua e delle loro tradizioni. Il nome Civita, dopo una serie di ipotesi sulla sua etimologia, sembra plausibile possa venire dal termine da qifti (= aquila), alludendo alla sua posizione nascosta tra le rocce, come un nido d’aquila. Ci troviamo sempre nel territorio del Parco Nazionale del Pollino, vicinissimi al confine con la Basilicata e siamo immersi nel verde e circondati dalle montagne. Il parco Nazionale fu istituito nel 1988, con la Legge dell’11 marzo 1988, n. 67, art. 18, c. 1, lettera c, con l’obbiettivo di salvaguardare un immenso e preziosissimo patrimonio naturale faunistico che vive su queste montagne. La catena montuosa, che ricopra 192 565 ettari,è posta al confine tra Calabria e Basilicata, inglobando al suo interno 56 comuni, 12 corsi d’acqua principali e 4 Riserve Naturali Orientate. L’etimologia del nome, secondo Gerarld Rohlfs[1], deriverebbe da Apollo Dio del sole (Mons Apollineus). Ma in realtà esistono anche altre ipotesi sull’etimologia del nome, ma una cosa è certa: il Parco Nazionale che lo protegge è il più esteso d’Italia e la catena montuosa rientra nella dorsale appenninica, che corre da nord a sud dell’Italia[2]. Il Borgo è praticamente chiuso tra le rocce, protetto dalle montagne ed è tutto raccolto in nello stesso sito, accoglie poco meno di 1000 persone con numerose strutture ricettive e dedite al turismo: B&B, ristoranti, taverne, percorsi naturalistici, percorsi storici e musei. Infattimolto del turismo che passa dal Borgo è legato alla presenza di alcune meraviglie naturali, che in alcuni casi costituiscono un unicum: la Riserva Naturale delle Gole del Raganello (il torrente è lungo 32km); il Parco Nazionale del Pollino;l’affascinante storia della tradizione Arbëresh e tutto ciò che ad essa è legato. Fiorenzo ferma il Bus nella piazza principale di fronte il Municipio. Scendiamo ed incontriamo il vice sindaco, l’assessore, il presidente della Pro Loco, che ci guiderà nel Borgo ed una guida naturalistica, presidente dell’Associazione Falconieri I Sette venti del Pollino, che sarà il nostro Virgilio attraverso il Parco e la fauna che lo abita. Insieme a noi, per tutta la giornata, ci sono anche i giovani volontari del Servizio Civile Nazionale. Dopo una presentazione generale del piccolo Borgo, tutto il grande gruppo che si era creato inizia a spostarsi verso la scalinata che porta al Ponte del Diavolo,nelle Gole del Raganello. Lungo la strada che conduce dalla piazza al sentiero per scendere nelle Gole, notiamo subito le particolarità architettoniche di alcune case eci fermiamo divanzi una piccola abitazione antica, che dicono chiamarsi casa a “Kodra” o “parlante”. Una terminologia creata in onore di un pittore albanese naturalizzato italiano, Ibrahim Kodra, il quale notò delle particolarità nella facciata di alcune case: sembrano avere due occhi (due finestre equidistanti), un naso (spesso la canna fumaria del camino che usciva dal centro della facciata) e la bocca (la porta d’ingresso). Questa singolarità architettonica, pertinente ad edifici “poveri”, non sappiamo se sia davvero casuale ma comunque rappresenta l’espressione di una tipologia edilizia. Quello che abbiamo intorno oggi è un paesaggio diverso da quello visto fino ad ora, le cime che racchiudono il paese sono altissime e maestose, si alterna bosco e roccia e lungo il sentiero, che sembra essere una immensa discesa fatta di tornanti, si sentono solo i suoni della natura: dal basso lo scorrere dell’acqua del Raganello, dall’alto i canti degli uccelli e qualche voce che fa eco nella gola. Man mano che scendiamo lungo il sentiero, ci avviciniamo sempre più al fiume e sopra di noi le montagne sembrano stringersi sempre di più, ma invece che sentirci in trappola, la sensazione è quella di essere protetti e nascosti. Il massiccio del Pollino[3], che unisce la Calabria al resto dell’Italia e sul suo crinale corre il confine con la Basilicata, rappresenta il segmento finale degli Appennini con una conformazione geologica molto diversificata ed ricco di fenomeni carsici[4], che creano grotte e canyon. Stiamo vivendo un’esperienza unica, che sta arricchendo il nostro bagaglio culturale ed aprendo le nostre menti verso qualcosa che è diverso, verso la scoperta di un passato ela riscoperta di un presente, capendo l’importanza dell’interazione tra gruppi di persone che finalizzano lo stesso obiettivo. In ogni borgo il nostro arrivo e la nostra permanenza sono il risultato di una coordinazione di più persone ed associazioni, che lavorano per uno stesso obiettivo: mostrare la bellezza e la ricchezza del nostro territorio e l’ospitalità dei Calabresi che vi abitano. La discesa è un po’ faticosa ma piacevole, questa passeggiata nella natura ci sta rilassando e siamo curiosi di arrivare al famoso Ponte del Diavolo. Si tratta effettivamente di una costruzione molto interessante, un’opera d’ingegneria del 1500, alto 33 metri. La denominazione scaturisce dalla costruzione stessa: poggiata da entrambi i lati su ripide pareti di roccia. Pertanto solo un “demone” o il Diavolo avrebbe potuto farlo. Effettivamente a guardare l’arcata del ponte viene da chiedersi come faccia a stare attaccato e, una volta soprami viene da pensare che è qui da più di 500 anni, cheha fatto da accesso impervio, ma sicuro, attraverso le montagne sopportando terremoti, piogge ed intemperie ed il peso di migliaia di viandanti e contadini. Tutto ciò è emozionante, sporgersi oltre il muro per guardare il Raganello scorrere già nella Gola, significa sentirsi parte della storia di Civita e di chi ha abitato queste montagne. Non andiamo oltre, risaliamo per qualche metro ed attendiamo il Servizio Navetta attrezzato con un grande Fuori Strada in grado di trasportare fino a 8 passeggeri per volta e durante le risalite si fanno le ultime foto e gli ultimi video della Gola. Alcuni di noi, non impauriti dalla ripidità del sentiero, decidono di tornare in piazza a piedi affrontando la salita come una sfida personale. Ritorniamo alla piazza del Municipio e saliamo a bordo del nostro Bus, per raggiungere la base operativa dell’Associazione di Falconeria. I sette Venti del Pollino, dove saremo anche loro ospiti per il pranzo. La location che dobbiamo raggiungere è immersa nel verde delle montagne ed è attrezzata di tutto il necessario per passarvi una giornata in tranquillità. Mangiamo ad una lunga tavolata con i volontari dell’associazione, che hanno preparato il pranzo seguendo ricette ed ingredienti poveri della terra. Ogni pietanza è accompagnata da una spiegazione che ne illustra il piatto e ne racconta le origini, e sulla tavola non manca mai né il vino, né un po’ di peperoncino. Ci guardiamo attorno: una sorgente d’acqua, tavoli e panche in legno per pranzare, un’altalena per i più piccoli, un asino che beve da una pozza ed un panorama che lascia senza parole. questo stretto spazio pianeggiante termina con uno strapiombo di diversi metri, dal quale è possibile ammirare un paesaggio difficile da raccontare a parole. Stare lì è sentirsi un’unica cosa con la natura. Stiamo trascorrendo delle ore indimenticabili e tra poco capiremo bene di cosa si occupa l’associazione e quale prezioso servizio svolge. I Sette Venti del Pollino, come spiega Roberto, non si occupa di addestramento di falchi e rapaci per la caccia, ma si propone di dare una nuova immagine della falconeria, da tradizionale a naturalistica: finalizzata alla salvaguardia e all’incremento di specie protette ed in via d’estinzione. Roberto Rugiano (Agrotecnico) ideatore e creatore dell’associazione, si propone di dare una nuova immagine alla falconeria: naturalistica, volta alla cura e salvaguardia dei rapaci. Animato da un grande amore per il territorio, Roberto cerca di tramandare alle nuove generazioni, un nuovo modo di vedere la natura e di interagire con essa: con rispetto ed amore. Siamo seduti a terra all’ombra di qualche alberello, quando ad un tratto Roberto porta un maschio di Aquila Reale, di 4 anni. Il grande volatile con 220 cm di apertura alare e 120 kg di forza negli artigli, è sul suo braccio,in sicurezza con delle corde che gli impediscono di volare via. L’associazione si occupa anche di curare e crescere questi animali, da mettere poi in libertà quando si creeranno legiuste condizioni ed intanto è importante che il rapace e l’uomo creino un rapporto di collaborazione e non di dipendenza. L’esemplare è stupendo e poterlo vedere così da vicino è un’esperienza che non ha prezzo, l’Aquila è comunque un cacciatore, tra i più feroci del Pollino, (un’aquila ha le capacità fisiche di poter uccidere anche un lupo e trascinarlo) e non bisogna mai incrociare il so sguardo, altrimenti si sentirebbe sfidato ed attaccherebbe d’istinto. Ma non poterla guardare negli occhi è quasi un sacrificio e così cerchiamo di strappare qualche occhiata quando è girata dall’altro lato. L’atteggiamento dell’animale è tranquillo, si sente a suo agio e, a suo modo, dimostra anche affetto per Roberto, che tutti i giorni lo nutre e lo cura e,in base al regolamento del Parco, quando è possibile lo libera, per poi tornare dopo qualche ora[5]. Il tempo è passato in un lampo, è passata qualche ora da quando siamo arrivati in questo locus amenus, e noi alle 17.00 dobbiamo essere al Municipio per la conferenza stampa, ma prima di allora dobbiamo tornare nel Borgo per prendere possesso delle nostre stanze. Siamo distribuiti in diverse strutture sparse per i vicoli e dal mio appartamento in cima alpaese, con Marwan e Simoneammiriamo il suggestivo paesaggio che si apre dal terrazzo: abbiamo una vista complessiva del centro storico, con a sinistra una parte di roccia alta 300 metri che costeggia il Raganello e, all’orizzonte oltre i comignoli si vede il mar Jonio. Dall’alto abbiamo la possibilità di notare ed ammirare una particolarità architettonica dei centri Arbëresh: i comignoli dei camini. Si tratta articolare strutture decorate senza uno stile particolare, l’importante è che siano grandi, visibili e tutti differenti tra loro. In questo elemento domestico si rintracciano motivazioni di carattere sociale (più è grande maggiore è l’importanza della famiglia, almeno fino a qualche decennio fa) rappresentativi di uno status ed anche di pura espressione artistica. Siamo riusciti a fare una doccia e riposare un po’ prima affrontare la seconda parte della giornata. Poco prima delle 17 usciamo dagli alloggi e ci incamminiamo verso il Municipio. Alle 17 circa siamo tutti davanti al comune ed entriamo per la conferenza stampa. Il format di presentazione è più o meno lo stesso, spiegate le linee e gli scopi del progetto, la parola passa all’amministrazione locale e poi ai nostri “cugini” calabresi. Conferenza dopo conferenza, lezione dopo lezione, l’italiano di tutti sta migliorando ed anche i ragazzi australiani iniziano timidamente a comporre qualche frase. Migliorando il loro livello di lingua anche i loro interventi iniziano a diventare più articolati e comunicativi. Il sindaco racconta delle origini del centro e dell’importanza della lingua Arbëresh (tutelata dallo stato italiano con la legge del 15 dicembre 1999, n. 482[6]) e la capacità che ha avuto Civita di mantenere vivi tutti gli aspetti originari della loro cultura, senza dover rinunciare ad una integrazione con il territorio, che comunque raccoglie molti altri centri di origine Arbëresh. La grande capacità che hanno avuto i civitesi e le amministrazioni comunali è stata quella di non abbandonare mai il Borgo e di tenere sempre viva la sua memoria storica, tramandandola alle nuove generazioni. Anche chi ascolta resta coinvolto nel viaggio di Scuola Calabria ed anche i ragazzi di Civita restano affascinati dalla nostra avventura e dalle vite di ognuno. Così dicendo, pian piano si avvicina il tramonto e noi ci accingiamo a terminare il tour civitese con le ultime due tappe: il Museo etnico e la Chiesa Madre. Usciamo dal Comune, attraversiamo la piazza ed entriamo al Museo Etnografico dove troveremo tutta la storia e la cultura Arbëresh di Civita, concentrata in due grandi ambienti che raccolgono tutti gli elementi etno-antropologici del luogo: attrezzi per lavorare nei campi, attrezzi per lavorazioni artigiane, vasi, cesti, utensili casalinghi ed anche gli abiti tipici della tradizione albanese. Abiti originali, filati a mano, alcuni anche in oro che rappresentano i vari abbigliamenti per le occasioni pubbliche e private. Lungo le pareti molti pannelli che illustrano la storia della diaspora a cui andò incontro il popolo albanese a metà del 1400, mettendo in risalto con diverse mappe, la vasta presenza di centri Arbëresh in Italia meridionale. Video e foto proiettati in alcuni schemi raccontano le fasi di alcuni eventi tradizionali importanti come le Vallje, balli in costume tipico che si svolgono il martedì dopo Pasqua, ed è in questa occasione che uomini e donne soprattutto sfoggiano questi meravigliosi abiti della tradizione, con monili preziosi e finiture in oro. Questa festa è per festeggiare le vittorie del Grande Condottiero Giorgio Castriota detto Scanderbeg[7], di cui nelle piazza centrale vi è un realistico mezzo busto. Una breve visita ma intensa, ricca di particolari mai visti, una carrellata di informazioni e di curiosità che hanno permesso di avere una maggiore consapevolezza della cultura Arbëresh e della loro presenza sul territorio. Quando un popolo emigra o fugge, porta con sé tutto quello che può e sicuramente porterà anche quegli aspetti che sono ormai distintivi della sua cultura, come la lingua e la religione. Così Scuola Calabria in compagnia della Pro Loco e dei volontari del Servizio Civile Nazionale, proseguono la passeggiata vico dopo vico, largo dopo largo, fino a giungere a P.zza Municipio dove entriamo nella Chiesa Madre di Santa Maria Assunta. Questo luogo sacro custodisce la religiosità del Borgo attraverso il rito greco-bizantino, come negli ultimi 500 anni. All’interno ascoltiamo le parole disuo interno la Chiesa è divisa in tre navate e quella centrale sul fondo dell’altare presenta una grande iconostasi[8] e numerose icone[9] di varie dimensioni, distribuite all’interno dell’edificio. La Chiesa èmaestosa e ricca di decorazioni ed affreschi, di chiaro stile tardo-barocco con diversi altari lungo le navate laterali. La chiesa fu costruita intorno al 1600 e molti degli accorgimenti stilistici visibili oggi sono il risultato di interventi relativi agli ultimi due secoli. Nel 1988 grazie all’intervento Papàs Antonio Trupo, direttore della Charitas diocesana, si è proceduto alla sostituzione dell’altare latino con l’iconostasi in legno. Mentre, le dodici icone poste sulla trabeazione dell’iconostasi provengono da Atene e l’autore è Ernesto Kominos che le dipinse nel 1992. Dobbiamo ricordare che nel 1439, al concilio di Firenze, fu dichiarata l’unione tra la Chiesa romana e la Chiesa Greca, così all’arrivo degli Albanesi (dal 1468 con Giorgio Castriota) il loro rito greco-bizantino non incontrò né ostacoli o interferenze[10] e furono loro concessi territori inabitati, spesso prossimi ad antichi monasteri, dove iniziarono a lavorare la terra ed a costruire un villaggio. È stata una giornata piena di attività ed incontri e questa tappa ci ha dato la possibilità di immedesimarci in un’altra cultura che a contatto con la nostra è riuscita a trovare un giusto equilibrio,sia culturale che linguistico. Lasciamo la Chiesa e ci avviamo al termine della giornata con una cena organizzata per noi presso il Castello di Kruja, che è la perfetta riproposizione dell’originale che si trova in Albania[11]. Ritorniamo nei nostri alloggi, che a volte sembrano usciti dalle fiabe, preparandoci per una bella dormita, anche perché la colazione domani è alle 7.00.
[1] Fu un importante linguista, di origini tedesche, che studio i dialetti della Calabria, creandone il primo dizionario. [2] F. Bevilacqua, Montagne di Calabria, 2003, Soveria Mannelli [3]La vetta più alta raggiunge i 2248 s.l.m. e le altre non scendono sotto i 900 metri di altitudine. [4] F. Bevilacqua, Montagne di Calabria, 2003 [5]Da qualche anno, all’interno del Parco del Pollino, esiste già una coppia di Aquile Reali che vivono in libertà e che arrivarono spontaneamente. [6] Si tratta di norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche in Italia. L’art. 2 comma 1 recita: “In attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”. [7] Visse nel 1400, fu Principe Albanese e re d’Epiro. Le sue grandi gesta in battaglia difesero per anni l’Albania dagli attacchi Ottomani, bloccando l’avanzata turca verso l’Europa. Tutt’ora in Albania è un eroe nazionale ed anche nelle “colonie” calabresi a distanza di 600 anni, continua ad essere celebrato in linea con l’unità nazionale. Per approfondire cfr.: A. Vaccaro, Studi storici su Giorgio Castriota Scanderbeg: eroe cristiano albanese nella guerra antiturca, in Religiosità e cultura tra Oriente e Occidente, 2013. [8] Detto anche tramezzo, è una parete in legno, in cui sono inserite delle icone sacre. Nelle chiese di rito orientale serve a dividere la navata dal Presbiterio o naos, riservato al clero officiante. Cfr.: P. Testini, Archeologia Cristiana, [9] l’uso delle icone, tipico del rito di tradizione orientale, è sostitutivo delle statue ed anch’esse sono rappresentative del rituale bizantino. [10][10] E.F. Fortino, La Chiesa Bizantina in Calabria, 1994, Cosenza. [11] Dove rappresentò un caposaldo della resistenza di Castriota ai Turchi.